domenica 7 novembre 2010

La "Malattia"
Penso sia una malattia... il voler salire.
Salire, scalare, arrampicare, come dir si voglia.
Un vero e proprio rapporto amoroso con la roccia, dove i sensi percepiscono i segreti della terra,dove la dura pietra ti accoglie e ti permette di "creare".
Si,perchè una via su roccia è una "creatura", è come dipingere un quadro, come disegnare un abito. Tutto quello che si ha dentro viene liberato, viene espresso, trasmesso sulla roccia. Ne viene fuori arte,una linea... una linea che racchiude emozioni, paure, momenti forti, momenti in cui ci si sente padroni del mondo e momenti in cui ci si sente piccoli e sovrastati dalla grandiosità della natura.
Aver paura di affrontare un difficile passaggio fa parte del gioco, è forse questa la sensazione più bella, il fatto di mettersi un discussione, il rischio.
Il rischio di cadere, di volare. Magari l'ultima protezione è giù, qualche metro sotto, ma è lì che viene fuori il meglio di te, sai che devi passare, è come entrare in un tunnel, e quando sbuchi fuori senti di essere cresciuto, di esserti affermato ancora una volta. E' una sensazione bellissima...

E vai avanti, ancora più su, ascoltando la tua musica preferita e annusando gli odori del calcare... le note perfette dei colpi del martello su un chiodo ben messo, la musica che vien fuori quando la mano cerca tra la moltitudine dei "ferri del mestiere" il nut della misura giusta che ti serve per quella determinata fessura...
...anche "Molla tutto", "Metti in tiro", "Dammi corda", diventano musica. Le comunicazioni con i compagni di viaggio, con i quali, oltre ad una semplice corda da alpinismo, si è legati da un'altra corda invisibile, che è quella di una profonda amicizia che solo la montagna e le condizioni a volte estreme che essa impone, possono creare.

Sono grato alle rocce. Mi danno tutto questo...

martedì 28 settembre 2010

"Unu pieju e l'atru"
E' il primo di agosto 2010. E' esattamente trascorso un anno da quando ho subito l'infortunio nel Raganello... giorni bui quelli, pensavo che il mio modo di vivere la montagna si sarebbe ristretto alle sole "tranquille passeggiate". Sentivo smarrita la mia libertà. La fisioterapia prima, la palestra dopo, ed anche tuttora, mi hanno rimesso in sesto ed anche evitato una fastidiosa operazione.
Ho fatto un paio di tiri di arrampicata sportiva a giugno di quest'anno, niente di più, ma oggi mi sento (quasi) pronto... e poi la voglia è tanta! Si, voglio provare a fare una nuova via che avevo già più o meno disegnato con lo sguardo e con la mente sulla parete ovest della Timpa di Porace, nel "mio" amato Parco del Pollino.
Compagno d'avventura è Domenico Bloise, insieme ci avviamo questa domenica mattina per vivere la nostra avventura. Ci dirigiamo verso il primo di una serie di pilastri affiancati che sono uno più bello dell'altro, tutti possibili attacchi per la nostra via. Scegliamo il primo. Sono emozionato, non lo nascondo, quando comincio a salire il primo tiro non sono così sicuro di completarla questa via... non sono allenato in questo momento per questo genere di cose, ne fisicamente, ma soprattutto psicologicamente. Ma dopo il primo tiro facile, affrontato con un certo "tremolio", e dopo il primo passaggio un pò impegnativo del secondo, qualcosa si scioglie in me. Mi rilasso, e da qui tutto diventa più facile.
Domenico si rivela un ottimo compagno di cordata, l'estetico terzo tiro lo tira da primo, per poi assicurarmi sulla difficile placca del quarto e sul traverso del quinto.
L'ultimo tiro è un capolavoro di Domenico, non tanto per l'estetica dello stesso, ma per la forza psicologica che ha nel superare un traverso di quinto su roccia marcia.
Siamo fuori, alla fine è nata una bella via. "Unu pieju e l'atru"... il nome è dedicato alla cordata di Franco, Salvatore, Domenico e Giuseppe che in quei giorni scorrazzava sul Monte Rosa, ma anche a tutti gli altri nostri amici che con noi e come noi vivono la montagna e la amano. E un pò è dedicata anche a noi due... in fondo, ma molto in fondo, anche noi siamo unu pieju e l'atru, no?



Di seguito la relazione tecnica:

Attacco:
Dal Rifugio di Colle Marcione dirigersi verso la larga sella a sinistra della parete sud della Timpa di Porace, oltrepassarla e continuare nella stessa direzione. Già dopo poche decine di metri si potranno scorgere i caratteristici ed evidenti pilastri alla base della parete ovest.

L1:
Attaccare il primo pilastro a destra per gradoni (III) 8m. facendo attenzione a qualche masso non troppo sicuro. Spostarsi leggermente a destra in un incavo (all'altezza dell'albero a destra nel canale)


per poi risalire un breve diedro (IV-) 12 m. Sosta su chiodi a destra dopo l'uscita del diedro. (S2)

L2:
Dalla sosta traversare su fessura obliqua verso sx (IV+) 3m.


da qui traversare su roccia ottima verso dx (III) 9m. fino alla sosta. (Chiodo lasciato da integrare con due nuts medio/piccoli. (S3)
N.B. I due tiri si possono unire, ma non è troppo conveniente farlo viste le curve e gli inevitabili attriti.

Da S3 ad S4 si cammina puntando la parete soprastante per poi costeggiarla per circa 10m versodx. fino ad un chiodo a sinistra di un canalone alberato.
L3:
Dal chiodo, (S4) attaccare dapprima su gradoni (III)

poi su placca (IV) 7m. fino all'albero di leccio su cui si sosta. (S5)
L4:
Dall'albero partire direttamente verso l'alto per placca liscia puntando un minuscolo alberetto (cordino) (VI-) 5m. poi le difficoltà calano sensibilmente e si arriva per gradoni (IV-) (III) alla S6 (due chiodi)

L5:
Da S6 bel traverso verso dx, 18m. dapprima III poi IV sullo spigolo che immette nel canale dove c'è S7 (due chiodi)



L6:
In diedro inizialmente (IV+) 4m. poi traverso a sx su roccia non buona (V) 5m. e poi di nuovo verso l'alto, 16m. su basse difficoltà (II) fino alla sosta d'uscita. (S8)






Discesa: In doppia sfruttando le soste e i numerosi alberetti presenti sulla parete o per la via normale della Timpa di Porace.N.B. Attualmente le protezioni elencate, comprese le soste non sono in parete, le ho scritte in previsione di un'uscita sulla via atta a posizionarle.