giovedì 10 dicembre 2009

ALLA RICERCA DELL'INVERNO

Si, è vero, cercavamo l'inverno. Lo rincorrevamo. Lo cercavano anche le piccozze, i ramponi... era già un bel po' che lo desideravamo tutti. Quel giorno era solo in pochi posti, si era nascosto. Ed è in uno di quei recessi, non solo della montagna, ma anche della nostra anima, che siamo andati a trovarlo.
Obiettivo la nord-est di Serra Dolcedorme, ma giunti ai Piani del Pollino, capiamo che non è quello che vogliamo. Intanto un forte e irresistibile richiamo viene da una grossa zona d'ombra, il versante del Dolcedorme esposto precisamente verso nord, l'inverno potrebbe essere lì... la cupola sommitale fa immaginare una bella scalata, anche se semplice e già più volte affrontata.Un rapido consulto è si va dritti verso la Fossa del Lupo. In fondo non abbiamo una precisa meta, vogliamo solo divertirci, l'importante è come si sale, a prescindere da dove si arriverà.
E' la prima volta nei miei 9 anni di montagna che poso il piede in questo magico posto solitario e silenzioso, mi affascina sin da subito questo piccolo pianoro di origine carsica, vorrei restarci. Dalla solitudine che si respira qui, mi rendo perfettamente conto che mai nome fu più azzeccato, e sento che questo è veramente l'ambiente ideale per chi non ama tanto farsi vedere in giro. Non a caso è indicato come zona di rifugio di un buon numero di lupi del Pollino.
Adesso che fare? Giuseppe nota una seducente linea che si insinua tra le rocce della parete nord di Timpa di Valle piana, (2163m) e allora, perchè non scoprirla? Il tempo di dirlo e siamo già alla base della parete, la "rampetta" è lì, da vicino ancora più bella. Non abbiamo dietro il casco, (tranne Giuseppe che anche avendo un piccolo zaino, lo caccia fuori! Sarà senza fondo?) Per quello che avevamo preventivato di fare non sarebbe servito, ma qui bisognerebbe averlo. A nostro rischio e pericolo...
Altra cosa da non fare qui, ma che noi abbiamo fatto, è andare slegati... avevamo uno spezzone di corda dietro, un pò di materiale, anche se non tutto il necessario per proteggerci, (ripeto, non eravamo venuti per fare questo) ma avremmo anche potuto abbozzare una cordata...
Non l'abbiamo fatto giusto per il gusto di non farlo, quel pizzico di follia che ogni tanto assale ogni alpinista si è impadronito di noi.
Ma si vedeva già dal basso che le difficoltà non erano estreme, siamo pazzi, ma non incoscienti!
(Comunque è assolutamente consigliato salire la via con il casco in testa e assicurati. Le rocce laterali permettono di salire in conserva assicurata, molto utile specialmente se c'è poca neve come nel nostro caso, in quanto in alcuni passaggi che diventano di misto, difficilmente un'eventuale caduta potrebbe essere trattenuta con il metodo della conserva semplice)
Provo un estremo godimento per questa scalata, ritorno a fare qualcosa di relativamente più impegnativo per la prima volta dopo il mio serio infortunio di luglio scorso nel Raganello. Dopo un periodo di scoraggiamento vedo spiragli di luce, con il potenziamento in palestra sto cercando di evitare la buia via di un intervento alla spalla destra. Al momento vedo che reagisce bene. Sono un po' emozionato all'uscita della "rampetta", sto ritornando a piccoli passi nel mio mondo... oggi accompagnato dal calore degli amici di sempre, dei quali ormai (ahimè) non si può fare più a meno... Franco, Giuseppe, Luigi, Domenico... volevamo fortemente l'inverno e l'abbiamo trovato...

mercoledì 11 novembre 2009

La cengia sulla parete sinistra del torrente Raganello. (Sentiero delle capre)
Di questi tempi, trovare una bella giornata di sole è quasi come vincere al superenalotto, e quindi, avendola avuta in dono domenica scorsa in occasione della nostra scalata al Dolcedorme, oggi, otto novembre 2009, sapevamo di non poterla pretendere. Ma ci avviamo ugualmente. Obiettivo: Sentiero delle capre, una stretta cengia che corre nella parete alla sinistra idrografica del Raganello. Io, Luigi e Franco, verso le nove di mattina, sotto un cielo minaccioso, siamo nei pressi della panoramicissima cima della Timpa del Demanio ad ammirare dall'alto il bel paesino di Civita. Giunti dove il sentiero cala con un tratto attrezzato sulla cengia vera e propria, Franco e Luigi, che sono alla loro prima volta su questo percorso, vedendo il sottile filo della cengia, che da qui fa più impressione che esserci su, improvvisano un divertente siparietto!Mentre il cielo continua a non promettere niente di buono, scendiamo, consapevoli del fatto che un temporale, o anche una normale pioggia qui potrebbe essere per niente piacevole, visto che ci si trova in piena parete a percorrere questo esile filo, sicuro solo dove attrezzato con i cavi metallici, mentre per il resto (la maggior parte) si sta su terreno infido e senza sicura, dove una scivolata potrebbe risultare fatale.Una volta scesi si entra in un'altra dimensione... "lasciate ogni speranza voi che entrate"... i 400 metri di vuoto che abbiamo sotto i piedi si vedono e si sentono tutti, in particolar modo in alcuni passaggi stretti dove c'è bisogno di piede molto fermo. E' tutto molto emozionante ed adrenalinico, senza negare che siamo un pò preoccupati per le condizioni meteo. Anche il vento si fa sentire. Con grande stupore osservo che su un tratto attrezzato scorre addirittura una cascata...in parete aperta, strano, non l'avevamo mai trovata qui, non c'è un canale in questo punto. Passiamo sotto l'acqua, notiamo che gli ancoraggi sulla roccia dove cade si stanno rovinando, è un peccato, bisognerebbe controllare cosa è successo in alto e vedere se magari sia stato qualche intervento umano a provocare questo.Percorriamo ancora un altro bellissimo segmento di questo aereo percorso,finchè non ci rendiamo conto che bisogna tornare indietro, le condizioni del tempo stanno peggiorando, speriamo di uscire prima che piova. Le prime gocce cadono quando siamo alla macchina, non è una forte pioggia, che però sarebbe bastata a rendere problematico il ritorno. Certamente il consiglio che mi sento di dare è quello di vivere questa splendida avventura con condizioni meteo perfette, in primis per la sicurezza, ma anche per trarne godimento. Ritornando a noi, visto che si è tornati in anticipo, siamo andati a finire nel "nostro" ormai ristorante preferito... ma questa è un'altra storia...
N.B. Obbligatorio il casco!! Non fate come alcune persone che lo dimenticano a casa!!

martedì 26 maggio 2009

lunedì 13 aprile 2009

"E' CORTA RAGAZZI!"
"Dolomiti di Frascineto"
Avancorpo del Timpone del Corvo
5 L - 110m - VI - R1 - I
25 maggio 2008
Luca D'Alba, Luigi Vincitore, Massimo Gallo

Dopo circa un anno, mi decido a relazionare su questa via alpinistica da noi aperta sull'avancorpo del Timpone del Corvo, (evitando così eventuali attentati da parte del caro amico Luca!!!).
Il Timpone del Corvo, se osservato frontalmente dall'abitato di Frascineto, come si può vedere nella prima foto, appare come una cima di forma pressochè piramidale composta in un unico blocco, ma in realtà, se poi lo si guarda di profilo spostandosi verso uno dei due lati,(foto 2 e 3) si evince che esso in realtà è diviso in due corpi distinti e separati da una profonda forcella: il corpo principale che è anche quello più alto che svetta con il culmine massimo del Timpone (846m) e tale avancorpo, appunto, che è di circa cento metri più basso e che a sua volta ha come punto più alto una stretta e aguzza cima raggiungibile solo in arrampicata in quanto molto ripida e dirupata da ogni versante. E' questa vetta che il 25 maggio dell'anno scorso abbiamo deciso di scalare io, Luca e Luigi, percorrendo uno sperone esposto a sud-ovest che con cinque tiri di corda ci ha portati sulla sommità.


Avvicinamento: Arrivati nei pressi dell'abitato di Frascineto dirigersi verso il campo sportivo, costeggiarlo a sinistra (lato ingresso) e prendere subito dopo la comoda stradina che si stacca sulla destra, (riconoscibile anche per la presenza di una fontana) che punta con alcuni tornanti verso la montagna.
Passati sotto l'evidentissima volta della Grotta del Pozzo nei pressi di un tornante a sinistra, percorrere il successivo verso destra, e subito dopo, all'altro che gira di nuovo a sinistra, parcheggiare l'auto.
A piedi: Dirigersi a destra rispetto alla strada attraversando subito un valloncello e cominciare a salire leggermente in diagonale dapprima su terreno aperto e successivamente attraversando un boschetto di pini. Una volta sbucati al di sopra del limite del bosco si vede benissimo il contrafforte con lo sperone da risalire.




L1: Assicurandosi su clessidra alla quale si può aggiungere un chiodo, si parte su roccia solida e ben appigliata (IV)



La scalata diventa man mano più delicata (V) fino a giungere al passaggio finale del tiro, (VI) da proteggere con un invitante clessidra e subito dopo con un chiodo.
Si sosta su albero. Lunghezza tiro: 20 m.











L2: Si riparte dallo stesso albero per affrontare un bel passaggio in diedro, (IV) anche qui l'aiuto di una confortante clessidra.





Poi il terreno diventa più facile (II) fino a sostare dopo 25 metri di corda, tenendosi sul filo dello sperone, su clessidra e chiodo (lasciato).








L3: Partenza ancora in diedro (IV+) per poi spostarsi leggermente a destra su rocce un pò meno instabili ma più semplici. Poi di nuovo verso sinistra a puntare il filo dello sperone attraverso una placca un pò delicata (V). Il tutto per 15 intensi metri che portano a sostare su spuntone e chiodo.





























L4: E' il tiro più lungo della via. Può essere conveniente dividerlo in due visto che le due curve che va a fare, prima a sinistra e poi a destra, creano molti attriti.
Si parte in un accenno di camino formato dalla parete e da un grosso spuntone, (IV) (chiodo) poi si procede per qualche metro su facili rocce fino a trovarsi in una piccola nicchia (clessidra). Proseguire verso sinistra facendo così la prima curva, su gradoni non molto semplici (IV+/V) fino ad arrivare su un terrazzino. All'estrema sinistra dello stesso assicurarsi con un chiodo e cominciare il traverso sempre verso sinistra, che dapprima è molto esposto, (IV) poi, proteggendosi con un nut in una lunga fessura obliqua (non ricordo bene, ma se non erro stopper n°2) portarsi verso un altro piccolo terrazzino dal quale si affronta l'impegnativo passaggio (utile per protezione un alberetto) dapprima su placca e poi in un piccolo diedro che porta alla sosta. (V) Lunghezza 35 metri.











Dalla sosta, segue un tratto di circa 50 metri in cui si cammina fino a portarsi alla base del picco sommitale.












L5: Si sosta su albero o su clessidra e si punta verso l'estetico diedro(IV-) molto divertente e proteggibile (clessidre) che punta verso il cielo e che promette di portarci in cima. Dopo alcuni bellissimi passaggi su roccia buona, (15 m) si è sulla vetta (due chiodi lasciati) di questa, che non è una montagna a sè, ma diciamo una figlia del maestoso "Timpone", che però sa regalare emozioni uniche!












































La discesa avviene o in calata diretta dalla cima che vedete al centro della foto, o dagli alberi della penultima sosta dopo esserci tornati calandoci per il diedro finale.















giovedì 15 gennaio 2009


"Vivere richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare"
...amo questi versi...è da quando le ho lette che mi ripeto queste parole...
Dalla vita voglio prendermi tutto, tutto il bello che ha da darmi, accetto anche il "brutto" che c'è in essa, per me vivere significa anche cercare i piccoli momenti di felicità, passare da uno all'altro, e inevitabilmente, negli intervalli, trovare lo sconforto di una qualsiasi situazione che va male, gli affetti che non vanno come si vorrebbe, lo stress della vita quotidiana che ormai è diventata un treno in corsa...
Parte di questo "bello" che voglio prendere dalla vita già da tempo lo trovo sui monti, sui "miei" monti del sud, nella mia amata Calabria. Alpinismo meridionale appunto, si può anche definire "appenninismo", ma rimane sempre qualcosa di indimenticabile una scalata invernale verso l'azzurrissimo cielo che ci sovrasta...
...Tintinnio di moschettoni...è un suono del quale ormai non posso fare a meno, tiri la leva, la richiudi... quel rumore dà sicurezza, lì appendi la tua vita, è un amico, un amico del quale ti devi fidare ciecamente...
Qualche cordino a tracolla insieme alla corda, pesanti scarponi che si stringono, zaino in spalla, imbrago...
Subito un'atmosfera quasi irreale, i pini neri e i faggi sono tutti imbiancati, comincio a stare bene, sento di entrare in casa mia, sento che la montagna mi accoglie con amore, non vuole nulla in cambio, vuole solo regalarmi sensazioni positive, vuole emozionarmi, vuole commuovermi, lei sa che non vado da solo, sa chi porto con me...

Il profumo della roccia diventa forte, e dopo un paio d'ore di cammino tocchiamo la sua ruvida pelle, forte ma indifesa, è bello accarezzarla (qualcuno starà dicendo: è pazzo!! ...lo so!) Ci divertiamo su facili passaggi, a parte qualcuno più difficoltoso che andiamo a cercare di proposito...


Il "Campo base", e poi il manto immacolato diventa l'assoluto padrone di tutto ciò che ci circonda, si fatica, e anche tanto, ecco cos'è anche la montagna, sofferenza nella neve alta e morbida, ad ogni passo si va giù, mentre la pendenza aumenta... ma eccolo il canale che ci condurrà in cima, speriamo in neve più consistente e intanto ci leghiamo...



In effetti qui il manto nevoso è un pò più duro, ma mai tanto da rendere necessari i ramponi...


































La crestina finale regala veramente attimi di felicità, è stupenda ed in alcuni tratti molto esposta, al punto di farci ritenere opportuno mettere qualche protezione... un ripidissimo scivolo a destra, parete verticale a sinistra, un tratto di cresta addirittura da cavalcare, poi un saltino ghiacciato... ecco... qua non si respira tanto per respirare, quà si vola liberi, qua si vive!